Il riso oggi

Queste sono le realtà che sovrintendono al settore del riso italiano, primo in Europa grazie ai suoi 230.000 ettari (media annua), di cui 81.000 in Lomellina e nel Pavese, 71.000 a Vercelli e 33.000 a Novara.

  • 2 ottobre 1931

    L’Ente nazionale

    L’Ente nazionale risi ha visto la luce con il regio decreto legge n. 1237 del 2 ottobre 1931, convertito in legge il 21 dicembre 1931. L’articolo 1 dello statuto recita: «L’Ente ha lo scopo di provvedere alla tutela della produzione risicola nazionale e delle attività industriali e commercio che vi sono connesse, agevolando la distribuzione e il consumo del prodotto e promuovendo e sostenendo iniziative rivolte al miglioramento della produzione, della trasformazione e del consumo del prodotto». Da allora la sede di questo organismo interprofessionale, unico in Europa, è a Milano, ma in Lomellina, a Castello d’Agogna (strada per Ceretto), dispone del Centro ricerche sul riso, che collabora con numerose istituzioni italiane e internazionali. Qui si svolge attività sementiera, si fornisce assistenza tecnica ai produttori e si offre un servizio analisi, certificato Accredia, alla filiera e agli operatori commerciali richiedenti.

Le organizzazioni di categoria sono tre:

  • 28 settembre 1920

    Confagricoltura

    L’attuale Confagricoltura è nata il 28 settembre 1920 dall’unione di due preesistenti organizzazioni di categoria. Si è poi alleata con altre realtà per dar vita alla Confederazione fascista degli agricoltori e nel 1948 sarà ricostituita con il nome di Confagricoltura.

  • 30 ottobre 1944

    Coldiretti

    La Confederazione nazionale coltivatori diretti, nota come Coldiretti, è stata fondata il 30 ottobre 1944 da Paolo Bonomi.

  • 1977

    Cia-Agricoltori italiani

    Cia-Agricoltori italiani è nata nel 1977 con il nome di Confederazione italiana coltivatori (Cic) in seguito all’unione di Alleanza contadini, Federmezzadri e Unione coltivatori italiani. Nel 1992 ha cambiato nome in Confederazione italiana agricoltori (Cia), che di recente ha lasciato il posto a Cia-Agricoltori italiani.

Infine, il mondo della trasformazione è riunito nell’Associazione industrie risiere italiane (Airi), con sede a Pavia, in via Bernardino da Feltre. Fra i soci sono da segnalare, in Lomellina, Riso Gallo di Robbio e Curti-Euricom di Valle Lomellina e, a Pavia, Riso Scotti. Questi i numeri del settore nel 2020: 1,3 miliardi di euro di fatturato e 1,1 milioni di tonnellate di riso lavorato.

«La sola mondatura del riso è un lavoro assai grave: per la posizione curva che è d’uopo conservare per la immersione dei piedi nell’acqua e pei cocenti raggi del sole che loro batte sulla schiena nonché per la rifrazione dei raggi solari nell’acqua, onde ne resta offesa anche la vista».

Questa sintetica, ma efficace descrizione firmata nel 1882 da Enrico Pollini fotografa il mestiere forse più iconico della Lomellina: quello della mondariso, detta più comunemente mondina o, a cavallo della Grande guerra, risaiola. Chi non ha davanti agli occhi la sensuale figura di Silvana Mangano, diventata nell’immaginario collettivo lo stereotipo della mondina grazie al film “Riso amaro” del 1949? Questo mestiere, però, è andato gradualmente scomparendo dagli anni Sessanta del Novecento a causa della meccanizzazione dell’agricoltura e dell’utilizzo dei fertilizzanti. Per le varie operazioni in campagna – preparazione del terreno, semina, raccolta – la manodopera si è ridotta drasticamente e il trattore, la seminatrice, lo spandiconcime e la mietitrebbia in pochi anni hanno sostituito il lavoro manuale del bracciante e della mondina. Il processo di trasformazione, per la risaia lomellina ma anche per quelle limitrofe del Vercellese e del Novarese, è stato epocale, ma non senza conseguenze deleterie per la sostenibilità della coltivazione e dell’ambiente circostante.

Fra gli anni Settanta e Ottanta il massiccio utilizzo di fitofarmaci per uccidere le erbe infestanti della risaia ha provocato gravi danni alla falda acquifera e alla fauna di risaia, rane in particolare. Nomi come molinate, atrazina e bentazone sono diventati tristemente popolari, ma proprio da allora in campagna s’insediano parole d’ordine come sostenibilità e, nella Politica agricola comune dell’Unione europea che entrerà in vigore il 1° gennaio 2023, transizione ecologica. Nel 2014 è entrato in vigore il Piano d’azione nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (Pan): secondo l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), nel 2018 sono state immesse in commercio circa 114mila tonnellate di prodotti fitosanitari (fungicidi, insetticidi, acaricidi, erbicidi e altri prodotti antiparassitari), con una diminuzione del 12% rispetto al 2014. Le istituzioni spingono sulla necessità di coniugare produttività e ambiente sfruttando nel contempo le agro-energie.

La tutela dell’ambiente

La tutela dell’ambiente, negli ultimi anni, è perseguita anche attraverso l’agricoltura di precisione, catalogata come 4.0. All’inizio degli anni Cinquanta del Novecento si era partiti con l’agricoltura 2.0: l’impiego di fertilizzanti e fitofarmaci permise un elevato aumento della produttività, ma con conseguenze negative sull’ambiente. La fase 3.0, l’agricoltura di precisione, è apparsa alla metà degli anni Novanta con gli strumenti di geolocalizzazione satellitare per guidare il lavoro delle macchine. Da lì alla guida automatica dei macchinari il passo è stato breve: le prime macchine a guida autonoma in ambito agricolo saranno usate già alla fine degli anni Novanta. Oggi la precisione della guida geolocalizzata ha raggiunto livelli elevati: condivisione di dati e informazioni non solo tra macchine, ma anche tra i diversi attori della filiera grazie a sensori, microprocessori e strumenti di comunicazione di ultima generazione. Due esempi concreti dell’ottimizzazione delle pratiche agronomiche? Primo: il trattore comunica con la mietitrice e, se un componente non funziona, manda un segnale in diretta al fornitore locale. Secondo: il trattore alimentato a biometano si può rifornire dalla rete gas o da stazioni a biomassa, e ha la stessa potenza di un diesel ma con una riduzione del 30% dei costi e un drastico abbattimento delle emissioni.

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